Nel
giorno dell’attesa della piccola Anna, ho passeggiato con la madre che mi
raccontava tutte le sensazioni di quel momento: le posizioni del nascituro, i
piedi verso le costole, la testa sull’utero, tutto il corpo perfettamente
girato. Passeggiavamo nel tiepido pomeriggio del plenilunio di novembre e Anna
riaffiorava a ogni conversazione. L’avvento è, infatti, il tempo che prepara la
nascita, il momento del parto, tempo di donna.
Geremia,
in un’età di disperazione, quando la monarchia davidica è ormai finita, il
regno è stato sottomesso e i suoi abitanti esiliati, prima ad Assur e poi a
Babilonia, sogna un germoglio dal tronco di Davide. Crede che, ancora, si possa
sperare nella libertà e nella pace, ma proprio quando desideriamo sentire la
speranza e cerchiamo delle conferme per non rimanere delusi, la realtà di altri
avvenimenti ci costringe a dubitare. La delusione è parte integrante della
nostra vita e vuole essere guardata negli occhi per leggervi le illusorie
attese e le maldestre progettazioni.
Se
il Natale è il ricordo della nascita di Gesù, rimaniamo nei fiocchi colorati
dei regali, se aspettiamo la parusia, come annuncia il testo di Luca, rimaniamo
nell’incertezza cristiana del primo secolo o nell’attesa della fine del mondo a
ogni millennio.
Non
conosciamo il tempo di Dio.
Solo
le donne conoscono il tempo dell’attesa che subisce la volitività della luna e
delle debolezze del corpo, quando il parto non è programmato. Matilde doveva nascere
in questi giorni, ma il cuore della mamma l’ha obbligata a venire al mondo due
mesi fa e a ricevere piccole, timorose carezze. Viola, invece, alla scadenza
dei nove mesi, è nata, voluta, attesa, accolta. Anna ha invece bisogno di
essere sollecitata.
Noi
dobbiamo apprendere a nascere. Ci sono segni nel sole e nella luna, siamo figli
e figlie degli astri, delle angosce e delle ansie dei popoli, siamo partoriti
dalla terra con il respiro dell’aria. La nascita richiede la dolorosa spinta
della partoriente e in quest’azione il pulsare del cosmo continua a esistere.
Geremia
aiuta gli israeliti a ripensare il senso dei loro giorni d’esilio: spesso diamo
per scontato il trascorrere dei giorni. Egli, con la caduta di Gerusalemme, ha
davanti a sé la tragedia sociale, politica ed economica del suo popolo e, cercando
altre possibilità, lo invita a procedere con fiducia nella speranza di nuove
stagioni per altri fruttuosi anni. Bisogna ricreare le condizioni del nostro
vivere e il profeta le trova nella parola-promessa di JHWH, per questo
sollecita a combattere il pessimismo, per consegnare un fiducioso domani ai
figli.
Il
futuro è un germoglio.
La
nostra crisi economico-finanziaria, che una politica in stallo evidenzia come
crisi sociale: un effetto domino che travolge ogni ambito e istituzione e tocca
l’intreccio vitale e mortale della storia personale e le aspirazioni della
comunità, minate da un progressivo delirio d’onnipotenza, è una fine e un
percorso d’intenzioni con soluzioni pessime.
La
condizione umana brancola in un indistinto, perfezione disincarnata, che
abolisce ogni virtù, civile e religiosa, per affidarsi al virtuale. Un anonimo
delirio da contatto per connessione digitale, un copia e incolla, scarica e
mixa che propaga un vuoto d’esperienza e d’intimità da chat-line. Su uno
schermo luminoso e trasparente si spende la presenza della nuova nascita che
non sopporta la prova del tempo e dell’attesa, vuole annullare la distanza con
la magia e possedere soluzioni immediate senza fatica e responsabilità. La
creazione resta priva del mistero, il nascituro sfuma in un volatile segno e
l’apocalisse smarrisce lo svelamento. Che fare? Non lo so. Avvolti da fitta
nebbia e senza riferimento, è necessario fare memoria della conoscenza
acquisita, ritornare sulle tracce esperienziali e alzare lo sguardo per
indicare una rinascita; è urgente costruire un tessuto di relazioni e
riscoprire un accompagnamento, per chi ha bisogno, nel segno della gratuità,
del servizio, del dono.
La
prospettiva di Geremia è la città “Signore-nostra-giustizia”, per il profeta è
necessario dare alla comunità la garanzia del diritto e la sicurezza di una
dimora perché i più deboli possano trovare un approdo. La parola di Dio
dell’attesa aiuta a non smarrire il cuore, a non appesantirlo con le paure, a
non turbarlo con le delusioni; questo mondo che ha fatto nascere Gesù ora è da
lui contenuto: “Alzatevi e guardate in alto perché la vostra liberazione è
vicina”. La vita che abbiamo ricevuto, la continuità che possiede e l’amore che
la nutre orientano la nostra speranza verso ogni possibile liberazione: un
grembo capace di elevare ad altri respiri e di accogliere ogni nostra
aspirazione nel suo calore.
Vittorio
Soana