domenica 2 dicembre 2012

La piccola Anna

Nel giorno dell’attesa della piccola Anna, ho passeggiato con la madre che mi raccontava tutte le sensazioni di quel momento: le posizioni del nascituro, i piedi verso le costole, la testa sull’utero, tutto il corpo perfettamente girato. Passeggiavamo nel tiepido pomeriggio del plenilunio di novembre e Anna riaffiorava a ogni conversazione. L’avvento è, infatti, il tempo che prepara la nascita, il momento del parto, tempo di donna.

Geremia, in un’età di disperazione, quando la monarchia davidica è ormai finita, il regno è stato sottomesso e i suoi abitanti esiliati, prima ad Assur e poi a Babilonia, sogna un germoglio dal tronco di Davide. Crede che, ancora, si possa sperare nella libertà e nella pace, ma proprio quando desideriamo sentire la speranza e cerchiamo delle conferme per non rimanere delusi, la realtà di altri avvenimenti ci costringe a dubitare. La delusione è parte integrante della nostra vita e vuole essere guardata negli occhi per leggervi le illusorie attese e le maldestre progettazioni.
Se il Natale è il ricordo della nascita di Gesù, rimaniamo nei fiocchi colorati dei regali, se aspettiamo la parusia, come annuncia il testo di Luca, rimaniamo nell’incertezza cristiana del primo secolo o nell’attesa della fine del mondo a ogni millennio.
Non conosciamo il tempo di Dio.

Solo le donne conoscono il tempo dell’attesa che subisce la volitività della luna e delle debolezze del corpo, quando il parto non è programmato. Matilde doveva nascere in questi giorni, ma il cuore della mamma l’ha obbligata a venire al mondo due mesi fa e a ricevere piccole, timorose carezze. Viola, invece, alla scadenza dei nove mesi, è nata, voluta, attesa, accolta. Anna ha invece bisogno di essere sollecitata.
Noi dobbiamo apprendere a nascere. Ci sono segni nel sole e nella luna, siamo figli e figlie degli astri, delle angosce e delle ansie dei popoli, siamo partoriti dalla terra con il respiro dell’aria. La nascita richiede la dolorosa spinta della partoriente e in quest’azione il pulsare del cosmo continua a esistere.

Geremia aiuta gli israeliti a ripensare il senso dei loro giorni d’esilio: spesso diamo per scontato il trascorrere dei giorni. Egli, con la caduta di Gerusalemme, ha davanti a sé la tragedia sociale, politica ed economica del suo popolo e, cercando altre possibilità, lo invita a procedere con fiducia nella speranza di nuove stagioni per altri fruttuosi anni. Bisogna ricreare le condizioni del nostro vivere e il profeta le trova nella parola-promessa di JHWH, per questo sollecita a combattere il pessimismo, per consegnare un fiducioso domani ai figli.
Il futuro è un germoglio.

La nostra crisi economico-finanziaria, che una politica in stallo evidenzia come crisi sociale: un effetto domino che travolge ogni ambito e istituzione e tocca l’intreccio vitale e mortale della storia personale e le aspirazioni della comunità, minate da un progressivo delirio d’onnipotenza, è una fine e un percorso d’intenzioni con soluzioni pessime.
La condizione umana brancola in un indistinto, perfezione disincarnata, che abolisce ogni virtù, civile e religiosa, per affidarsi al virtuale. Un anonimo delirio da contatto per connessione digitale, un copia e incolla, scarica e mixa che propaga un vuoto d’esperienza e d’intimità da chat-line. Su uno schermo luminoso e trasparente si spende la presenza della nuova nascita che non sopporta la prova del tempo e dell’attesa, vuole annullare la distanza con la magia e possedere soluzioni immediate senza fatica e responsabilità. La creazione resta priva del mistero, il nascituro sfuma in un volatile segno e l’apocalisse smarrisce lo svelamento. Che fare? Non lo so. Avvolti da fitta nebbia e senza riferimento, è necessario fare memoria della conoscenza acquisita, ritornare sulle tracce esperienziali e alzare lo sguardo per indicare una rinascita; è urgente costruire un tessuto di relazioni e riscoprire un accompagnamento, per chi ha bisogno, nel segno della gratuità, del servizio, del dono.

La prospettiva di Geremia è la città “Signore-nostra-giustizia”, per il profeta è necessario dare alla comunità la garanzia del diritto e la sicurezza di una dimora perché i più deboli possano trovare un approdo. La parola di Dio dell’attesa aiuta a non smarrire il cuore, a non appesantirlo con le paure, a non turbarlo con le delusioni; questo mondo che ha fatto nascere Gesù ora è da lui contenuto: “Alzatevi e guardate in alto perché la vostra liberazione è vicina”. La vita che abbiamo ricevuto, la continuità che possiede e l’amore che la nutre orientano la nostra speranza verso ogni possibile liberazione: un grembo capace di elevare ad altri respiri e di accogliere ogni nostra aspirazione nel suo calore.

Vittorio Soana




domenica 19 febbraio 2012

le due paralisi


2012-02-19 VIITO Marco 2,1-12

L’episodio della guarigione del paralitico è composto dall’intervento sul malato e dalla controversia con gli scribi; entrambe le parti evidenziano due paralisi: la malattia della persona e la malafede degli altri. La prima trova nei portatori una risposta di fede che sfocerà nella guarigione del paralitico, la seconda mette in luce una mancanza di fiducia e una paura di perdere il potere. La fede, pistis in greco, ha il significato di credito ed è semplicemente la fiducia di cui godiamo presso Dio e di cui la sua parola gode presso di noi. Infatti, in Grecia, la banca è chiamata, trapeza tes pisteos, cioè “banco di credito”, luogo di fiducia.

Oggi le banche godono poco fiducia. La crisi economica, nata dai crediti non corrisposti e ampliatasi nei vari debiti pubblici e per le speculazioni, ci ha paralizzato. Se si osserva, c’è tutta una sfera che gira attorno al perno del credito, una sfera in cui è andata a finire la nostra pistis, tutta la nostra fede. Questa sfera è il denaro e la banca è il suo tempio. Ciò significa che il capitalismo finanziario e le banche che ne sono l’organo principale funzionano giocando sul credito, cioè sulla fede, degli uomini. Non è possibile guarire la singola paralisi se non s’interviene su quanto ci paralizza in modo più esteso e complesso.
La paralisi fisica nasce nel nostro cuore quando la fiducia è andata perduta, la seconda nasce dalla malafede in una società mantenuta a forza in un orizzonte senza futuro e senza speranza, o di vuote illusioni e di false attese.

Il paralitico è la realtà della nostra incapacità di camminare nella relazione. A volte, in situazioni difficili, altre persone ci vengono in aiuto e l’unica cosa che possono fare è portarci  da qualcun altro. La malafede degli scribi evidenzia le mistificazioni di tutte le pubblicità di guarigione che ogni società propone. L’imperativo – “sii capace di rialzarti dal tuo male e riprendi il cammino” è, nel nostro tempo, solo un’immagine virtuale.
Il paralitico non è in fuga da se stesso: si lascia portare; non è in fuga dalla provocazione del suo stato: si presenta con la sua barella; non è in fuga dalle sollecitazioni del dolore, anzi è silenzioso e aspetta, come fa ognuno di noi in questo tempo di crisi. L’altra paralisi, agita dalla speculazione, ci supera; possiamo ancora dare credito alle banche? Il nostro lavoro, i beni risparmiati, gli scambi commerciali, costretti dentro la morsa creditizia di questi giochi di potere, sono paralizzati. Il capitalismo è una religione implacabile, feroce, non ha pietà e non conosce redenzione e i suoi funzionari e i suoi esperti sono i preti del nostro tempo che governano il credito e manipolano la nostra fede.

Per quanto tempo saremo costretti a pagare per uscire dalla paralisi? Gli scribi dicono che si bestemmia se si perdonano i peccati e sembrano i nostri funzionari europei rispetto ai paesi in difficoltà. Gli scribi delle agenzie di rating ogni tanto scendono dall’Oreb con le loro tavole della legge. I farisei delle banche centrali centellinano i tassi d’interesse dei nostri risparmi. I pubblicani delle Agenzie delle tasse raccolgono denaro per offrirlo ai nuovi tetrarchi che lo sperperano. Poi ci sono i vari governi che nel modo più irresponsabile e privo di scrupoli cercano di lucrare denaro dalla fiducia e dalla speranza degli esseri umani. Oggi persino gli Stati hanno abdicato alla loro sovranità, infatti, sono i sacerdoti del tempio del denaro che governano, chiedono altri sacrifici e mantengono la paralisi.
  

Nessuno sta proponendo un cambiamento dell’attuale crisi, eppure il peccato è proprio del sistema che compie una serie sconsiderata di operazioni sul credito, scontato e rivenduto una decina di volte prima di poter essere realizzato. Un sistema che paralizza se stesso nella ricerca spasmodica di produrre di più, di guadagnare di più, di vendere di più, fino all’immobilismo e alla recessione.

Il racconto odierno ricorda che il paralitico è tornato a casa con la barella sottobraccio e fa intravedere che il bestemmiatore sarà inchiodato a un altro supplizio. La seconda paralisi non è stata superata, anzi, nella scena finale, troviamo i sacerdoti che invitano sarcasticamente a scendere dalla croce. Questo male è più resistente e ci vuole molta tenacia per debellarlo, sono necessarie una forza comune e la volontà di più persone per affrontarlo.  Prima di tutto bisogna riconoscere che la società e i suoi pseudo sacerdoti ci hanno asservito alla loro causa. Poi sarà opportuno liberarci del Pil, dello Spread, dei Tassi d’interesse, ecc., zittire i veri bestemmiatori, i sacerdoti dei crediti mondiali e i loro adepti speculatori.

Senza fede o fiducia non è possibile un futuro, c’è futuro solo se possiamo sperare e credere in qualcosa. Non basta andare a casa propria in barella se non riusciamo a guardare al futuro per i nostri figli, e con fiducia, se non possiamo pensare la guarigione della paralisi della nostra società, se non costruiamo una tutela dei valori che rendono la vita umanamente vivibile. Finché dura questa situazione, finché la nostra società, che si crede laica, resterà asservita alla più oscura e irrazionale religione, la fede nel denaro, noi continueremo a vivere nella paralisi e nella sua schiavitù. Soltanto comprendendo che cosa è avvenuto e soprattutto cercando di capire com’è potuto accadere, sarà possibile ritrovare la propria libertà. Diceva Paolo: “La fede è sostanza di cose sperate”, essa è ciò che dà realtà a quanto non esiste ancora, ma in cui crediamo e abbiamo fiducia. Il paralitico crede a Gesù, ma noi non possiamo credere agli scribi.