lunedì 6 gennaio 2014

La stella

Matteo dedica ai magi solo dodici versetti, troppo poco perché possa soddisfare la curiosità di chi vuole sapere quanti erano, come si chiamavano, che cosa hanno fatto dopo essere tornati ai loro paesi. Da queste domande sono nate le tante leggende che ci hanno commosso nell’infanzia. Le storie dicono che essendo tre i doni, i magi non potevano essere che tre e venivano dall’Africa, dall’Asia e dall’Europa. Uno era nero, uno giallo e uno bianco; si chiamavano Gaspare, il giovane imberbe e colorito, Melchiorre, il vecchio dalla lunga barba bianca, Baldassarre, l’uomo maturo. Sono diventati così i rappresentanti dei popoli della terra e delle tre età della vita. Queste storie testimoniano l’interesse per i magi, ma vanno tenute distinte dal racconto evangelico.
Ogni anno, in questo tempo natalizio, compare su qualche rivista un articolo sulla stella dei magi in cui si ricorda il passaggio della cometa di Halley negli anni 12-11 a.C., oppure la congiunzione di Giove, la stella della regalità, con Saturno, la stella dei giudei, secondo Tacito, verificatasi tre volte nell’anno 7 a.C., o ancora la stella luminosa apparsa nei cieli, secondo le tavole cronologiche cinesi, nel 4 a.C. e rimasta visibile a lungo.
La stella dei magi va cercata nella Bibbia, non nel firmamento, gli occhi vanno rivolti al volto sacro, non alla volta celeste. L’evangelista scrive per lettori che conoscono bene l’Antico Testamento e da secoli sono in attesa di veder apparire la stella di cui parla una misteriosa profezia contenuta nel libro dei Numeri; nei capitoli 22-24 è narrata la curiosa storia di Balaam e della sua asina parlante. Ecco che cosa aveva predetto Balaam: “Io vedo … una stella spunta dalla stirpe di Giacobbe …”. E’ in questo contesto culturale di attesa della stella che Matteo introduce il racconto midrashico dei maghi. La stella che Balaam, il mago dell’Oriente, ha visto spuntare dalla stirpe di Giacobbe, l’atteso liberatore, è Gesù.
Nel testo dei magi è inserito l’incontro con Erode. Dodici chilometri separano Gerusalemme da Betlemme. Erode aveva a disposizione una polizia efficientissima e, con estrema facilità, avrebbe potuto controllare ogni passo dei magi. O ancora più semplicemente informarsi dai bambini ai quali non sarebbe certo sfuggita la presenza di cammelli e di personaggi orientali. Erode non è un ingenuo, chi detiene il potere delle armi, del denaro e della comunicazione, ricorre alla menzogna, al sopruso, ma il Signore si prende gioco di loro, è l’umorismo del testo.

A differenza dei pastori, che sono rimasti a contemplare e a gioire di fronte al bambino Gesù, i magi “si prostrarono e lo adorarono e poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. Il loro gesto richiama il cerimoniale di corte, la prostrazione e il bacio dei piedi del re. Sono il simbolo di chi alza lo sguardo da terra e cerca nella stella il senso della vita e del destino. Per Matteo sono coloro che, attratti dalla luce di Gesù, muovono i primi passi nella lettura del Vangelo. Lo stupendo midrash vuole mostrare l’adempimento in Gesù delle profezie. E’ un messaggio di gioia e di speranza e con questo racconto siamo chiamati tutti al monte di Sion, al tempio del Signore, a portare i nostri doni, le nostre culture e la varietà delle nostre voci, a proclamare la stella, la luce della Pasqua. La manifestazione, epifania, è l’apparizione della risurrezione, con questo messaggio si conclude il tempo del Natale.

domenica 5 gennaio 2014

La luce

2014-01-05 Giovanni 1,1-18

I rabbini dicevano che, nella Toràh, Dio si era reso presente nel mondo come luce per illuminare gli uomini e orientare le loro scelte. Questa luce era rappresentata dalla menorah, il candelabro a sette bracci che, nel tempio, si trovava davanti all’arca, per indicare la sorgente da cui proveniva la luce del mondo.
L’evangelista Giovanni, nel prologo, afferma che “veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” ed ha assunto il volto di un uomo, Gesù. Questa contrapposizione, tra Gesù e la Toràh, è il più forte contrasto sviluppato nella prima parte del vangelo di Giovanni. Egli riferirà le parole di Gesù, quando si presenta come la luce, e annoterà le reazioni indignate di chi riteneva di possedere già la pienezza della luce.
“Io sono la luce del mondo – dichiarerà Gesù nel tempio durante la festa delle capanne -, chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (8,12), ma, al termine del suo discorso, i giudei raccoglieranno delle pietre per scagliarle contro di lui.
Prima di dare la luce agli occhi del cieco nato, esclamerà: “Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo” (9,5) e la reazione dei farisei sarà di nuovo dura: “Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia” (9,29).
Quando per l’ultima volta si presenterà come luce: “Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” (12,46), poco dopo, nel vangelo, si annuncerà il tradimento di Giuda.
La contrapposizione trova nuova forza quando dice “voi siete la luce del mondo”. In quest’affermazione la Toràh non è più la luce vera e neppure la vita. Il Verbo è la vita e lo spirito è la luce degli uomini. La Toràh era una legge esterna, indicava il cammino della vita, ma non era in grado di comunicare la vita. L’evangelista riconosce che la Toràh era dono gratuito di Dio, offerto a Israele attraverso Mosè, ma la verità portata da Gesù è la sua prova d’amore, nel dono totale di sé, e la comunicazione dello spirito, cuore nuovo per chi sa ascoltare.
 La ricerca della conoscenza si trova nella saggezza umana, nelle filosofie e certamente la Toràh racchiude l’una e le altre, tuttavia, da quando è apparsa la “luce vera, quella che illumina ogni uomo”, tutte le ideologie e le dottrine, per chi crede, devono essere confrontate con questa luce. E’ la scelta di adesione alla vita stessa di Gesù.
Giovanni alla fine del primo secolo ha sotto gli occhi un duplice rifiuto: Israele, educato dalla Toràh, non aderisce alla predicazione di Gesù, e il mondo non riconosce i segni e le sue parole; “la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato le tenebre, perché le loro opere erano malvagie”. Ancora oggi la vita è come una grande parabola che manifesta il suo creatore e le piccole cose sono il riflesso della sua manifestazione, ma bisogna imparare a lasciarsi sorprendere.

Il Vangelo racconta che ogni uomo e donna ha questa luce, ha questa sorgente di vita, eppure facciamo fatica a crederci e a vivere in sintonia con la sua presenza. Questa luce ti fa fiorire in tutte le forme, ti fa sconfinare in tutti i voli, ti dà l’energia della donna quando fa spazio al figlio e t’insegna a donare e a dividere i frutti della terra, ma la paura rinchiude se non ci lasciamo illuminare dalle sue parole e dai suoi gesti. Ecco perché abbiamo la necessità di respirare nel suo respiro affinché il suo spirito sia in sintonia con il nostro itinerario di vita.