Matteo
dedica ai magi solo dodici versetti, troppo poco perché possa soddisfare la
curiosità di chi vuole sapere quanti erano, come si chiamavano, che cosa hanno
fatto dopo essere tornati ai loro paesi. Da queste domande sono nate le tante
leggende che ci hanno commosso nell’infanzia. Le storie dicono che essendo tre
i doni, i magi non potevano essere che tre e venivano dall’Africa, dall’Asia e
dall’Europa. Uno era nero, uno giallo e uno bianco; si chiamavano Gaspare, il
giovane imberbe e colorito, Melchiorre, il vecchio dalla lunga barba bianca,
Baldassarre, l’uomo maturo. Sono diventati così i rappresentanti dei popoli
della terra e delle tre età della vita. Queste storie testimoniano l’interesse
per i magi, ma vanno tenute distinte dal racconto evangelico.
Ogni
anno, in questo tempo natalizio, compare su qualche rivista un articolo sulla
stella dei magi in cui si ricorda il passaggio della cometa di Halley negli
anni 12-11 a.C., oppure la congiunzione di Giove, la stella della regalità, con
Saturno, la stella dei giudei, secondo Tacito, verificatasi tre volte nell’anno
7 a.C., o ancora la stella luminosa apparsa nei cieli, secondo le tavole
cronologiche cinesi, nel 4 a.C. e rimasta visibile a lungo.
La
stella dei magi va cercata nella Bibbia, non nel firmamento, gli occhi vanno
rivolti al volto sacro, non alla volta celeste. L’evangelista scrive per
lettori che conoscono bene l’Antico Testamento e da secoli sono in attesa di
veder apparire la stella di cui parla una misteriosa profezia contenuta nel
libro dei Numeri; nei capitoli 22-24 è narrata la curiosa storia di Balaam e
della sua asina parlante. Ecco che cosa aveva predetto Balaam: “Io vedo … una
stella spunta dalla stirpe di Giacobbe …”. E’ in questo contesto culturale di
attesa della stella che Matteo introduce il racconto midrashico dei maghi. La
stella che Balaam, il mago dell’Oriente, ha visto spuntare dalla stirpe di
Giacobbe, l’atteso liberatore, è Gesù.
Nel
testo dei magi è inserito l’incontro con Erode. Dodici chilometri separano
Gerusalemme da Betlemme. Erode aveva a disposizione una polizia efficientissima
e, con estrema facilità, avrebbe potuto controllare ogni passo dei magi. O
ancora più semplicemente informarsi dai bambini ai quali non sarebbe certo
sfuggita la presenza di cammelli e di personaggi orientali. Erode non è un
ingenuo, chi detiene il potere delle armi, del denaro e della comunicazione,
ricorre alla menzogna, al sopruso, ma il Signore si prende gioco di loro, è
l’umorismo del testo.
A
differenza dei pastori, che sono rimasti a contemplare e a gioire di fronte al
bambino Gesù, i magi “si prostrarono e lo adorarono e poi aprirono i loro
scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. Il loro gesto richiama
il cerimoniale di corte, la prostrazione e il bacio dei piedi del re. Sono il
simbolo di chi alza lo sguardo da terra e cerca nella stella il senso della
vita e del destino. Per Matteo sono coloro che, attratti dalla luce di Gesù, muovono
i primi passi nella lettura del Vangelo. Lo stupendo midrash vuole mostrare
l’adempimento in Gesù delle profezie. E’ un messaggio di gioia e di speranza e
con questo racconto siamo chiamati tutti al monte di Sion, al tempio del
Signore, a portare i nostri doni, le nostre culture e la varietà delle nostre
voci, a proclamare la stella, la luce della Pasqua. La manifestazione,
epifania, è l’apparizione della risurrezione, con questo messaggio si conclude
il tempo del Natale.