2014-03-30 IV Quaresima
Giovanni 9,1-41
Il cieco
nato è senza luce e senza speranza. Al dolore di essere ammalato si è aggiunto
il veleno del rifiuto dei genitori e, alla percezione della punizione subita, è
seguita la fatica del mendicare; i sacerdoti gli hanno detto che è un maledetto
da Dio.La
sua vita è fatta di ombre, di fantasmi, non ha mai visto la luce e forse ora
non la desidera più. L’ombra è quella parte di sé che non si domina, è il luogo
della notte dell’essere dove, se non si è riconciliati, si vivono la
disperazione e l’isolamento. Il cieco nato non grida come Bartimeo, non chiede
come il lebbroso, non si lamenta come il paralitico, egli sta seduto a chiedere
l’elemosina, vive la vergogna del mendicante, la povertà di chi, in miseria, è
tollerato, come tutti quelli che intralciano il nostro cammino con i loro
cartelli e le mani tese.
Quando
non sappiamo rispondere agli avvenimenti che ci sovrastano, cerchiamo
giustificazioni, una di queste è il peccato dei progenitori, ma tutti siamo
figli e abbiamo peccato, ognuno fa il male e lo subisce; molte volte la società
soffre il male di uno solo.I
devoti, che credono di sapere tutto, prima dicono che il cieco mente, che non è
mai stato cieco, poi affermano che Gesù è un peccatore, infine, davanti
all’evidenza, lo cacciano fuori dal tempio. I sacerdoti, accecati dalle loro
sicurezze, non ammettono le ragioni degli altri. Chi
è cieco? Il mendicante nella sua povertà o l’arrogante nella sua supponenza?Il
denigratore chiude ogni possibile ricerca nello spazio dell’oscurità, invece il
cieco, che non conosce il suo guaritore, ma l’ha solo visto, inizia la ricerca
con l’affermazione “Proprio questo stupisce: egli mi ha aperto gli occhi”; in
questo modo egli tende alla conoscenza della rivelazione. La realtà, personale
e sociale, ha bisogno di responsabilità e il nostro guardare, osservare, mettere
in luce, svelare, sono azioni portatrici di esperienza e rivelano la nostra
esistenza se ci lasciamo interrogare e non ci fermiamo alla casualità degli
accadimenti. La realtà non dipende dal peccato dei progenitori, ma da ogni
vendetta che l’uomo e la donna covano nel cuore, ciechi nelle passioni, paurosi
nella vergogna.
Possiamo
guarire se assumiamo il male che è dentro e fuori di noi. Non possiamo rimanere
timorosi come i genitori del cieco, pavidi e divorati dal giudizio degli altri
che si rifiutano di schierarsi, intimoriti dalla logica comune. Nel conflitto -
chi l’ha guarito? Perché di sabato? - hanno paura e come un tempo hanno
abbandonato il figlio alla mendicità, ora lo lasciano preda dei farisei; i più
poveri sono i più indifesi, nei conflitti muoiono i più deboli.Il
cieco nato, con la guarigione, inizia il cammino della sua illuminazione: prima
recupera la vista, poi l’onore e infine la fede. Nel racconto il cieco descrive
Gesù prima come uomo, poi come profeta e nell’ultimo incontro lo proclama
Figlio di Dio. Prima è stato aiutato a risollevarsi dalla sua indigenza, poi
vede la vergogna subita per tanti anni, supera il suo dolore e infine fa
esperienza del dono; con gli occhi aperti riconosce la profezia: Dio aiuta i
più deboli. Non ha avuto la folgorazione come al Tabor, né ha fatto una
richiesta di guarigione, ma ha vissuto un lento procedere nella verità di sé.
L’ombra
della notte viene alla luce quando il nostro io raggiunge la sua integrità. I
nostri sensi possono essere illuminati dallo spirito, ma bisogna lasciarsi
interpellare dal dono. Il rischio è di agire come i farisei che sono convinti di
non avere nulla da capire e non mettono in dubbio le loro convinzioni; sono
come i politici che, schierati a prescindere, non scelgono il bene del popolo.
Quanti arroganti troviamo sulla nostra strada: gli anticlericali per principio,
gli ultra per posizione, gli atei per moda, gli intolleranti per paura, i
cattolici santamente convinti.Le
ombre hanno bisogno di essere integrate nella nostra vita, non possiamo cercare
di negarle, né portare giustificazioni e neppure capirle; è doloroso ma non
possiamo separarle da noi.
Fare
luce sulla nostra esistenza, comprenderne il senso, rimuovere le illusioni, aprire
gli occhi al dono, accoglierlo con fiducia, ci fa entrare in un progressivo
cammino verso la luce.
L’illuminazione apre gli occhi alla visione, a chi “parla
con te”, allo sguardo dell’uomo e al volto di Dio.
Ogni
giorno abbiamo bisogno di aprirci alla speranza: come risvegliare in noi la
luce, come incedere nella verità di sé, come uscire dalla tenebra e lasciarci
illuminare? Il fango sugli occhi rivela la nostra condizione, è necessario riconoscerla
e poi andare a lavarci a Siloe, al luogo della purificazione, dove, dopo che
avremo ritrovato la fiducia e un nuovo sguardo, Gesù si rivelerà: “Sono io,
colui che parla con te”. Allora il buio cede il posto alla luce e il nostro
cammino troverà la sua autonomia.
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