domenica 23 marzo 2014

Sete di Te


2014-03-23 III Quaresima Giovanni 4,5-42



L’acqua, l’oro del futuro, sarà all’origine dei nuovi conflitti fra i popoli. La sete del cuore, quella che inaridisce la vita, è l’origine di ogni nostro male. La sete di Dio, desiderio di fede, è quella del pozzo di Sicar: riconoscere il divino nella quotidianità dei nostri gesti.
Gesù, stanco, siede al pozzo di Giacobbe, nell’ora più calda della giornata e attende qualcuno che può dargli da bere. Guarda i nostri occhi e noi rispondiamo come se ci avesse importunato, chiede da bere e noi reagiamo indispettiti, prova a svelare i nostri bisogni, ma noi siamo presi dalle nostre delusioni.

Samaria, terra di mezzo, tra Nazaret e Gerusalemme, residuo regno del Nord, raso al suolo dagli Assiri nel 722 a.C., è da allora terra meticcia, dalle molte fedi e attende il suo messia. Gesù, affaticato dal cammino, dal ridurre i conflitti e dal mediare le tensioni, sembra bisognoso di riposo, di un poco della nostra fiducia, di una persona che gli offra da bere.
La durezza e la diffidenza dei samaritani sono una vecchia storia, negli ultimi anni l’intifada è nata e si è sviluppata fra i suoi villaggi; è lontano il tempo in cui Giacobbe pascolava il suo gregge e veniva ad abbeverarlo al suo pozzo.

Come dialogare nella diffidenza, nell’ambiguità dei messaggi, come credere che l’altro possa donare “acqua viva”?
L’ambiguità tra l’acqua di fonte e quella interiore permane, difficile credere che noi stessi, così stagnanti, possiamo divenire una sorgente.
Credere in noi stessi è credere alla realtà della conversione.

Il brusco cambiamento del discorso di Gesù con la samaritana pone la donna difronte alla sua verità, confronta la sua vita, le sue debolezze e la sua capacità di essere sincera; la conversione richiede, infatti, una risposta vera: “Non ho marito”. La verità di questa donna, bisognosa d’amore, sono i cinque mariti e la vita affettiva frammentata; è stata più volte abbandonata, molte altre volte è venuta al pozzo, ma ha bevuto acqua salata, presa da un desiderio possessivo e illusorio, fatto di rapporti inautentici e frettolosi, di scorciatoie scivolose che passano da una solitudine a un’altra tristezza. Quando ci si sente letti dentro, quando appare alla superficie quello che ci ostinavamo a nascondere o a negare, allora ci accorgiamo dello straordinario dono che sorge dallo scambio.
Di fronte alla verità preferiamo discutere d’altro: “I nostri padri hanno adorato su questo monte”. Gesù asseconda e ribatte: “Né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre”. Se vogliamo convertirci, non possiamo adorare noi stessi, se vogliamo cambiare, è necessario confrontarsi con lo spirito di verità e lasciare che le lacrime purifichino il nostro volto e lavino il nostro cuore.

Bisogna tornare al pozzo, là ci attende il Signore, là si rivela: “Sono io che parlo con te”. La brocca della nostra sicurezza resta a terra vuota, il nostro sguardo, liberato dalla sua inadeguatezza, ora può incontrare l’uomo e la donna.
L’essere umano che vive disprezzato, fragile per la spietatezza degli altri, fuggiasco per la violenza dei persecutori, ora è chiamato a dialogare. Siamo chiamati a un incontro per bere quell’acqua viva di cui abbiamo bisogno per sanare la nostra sete, allora lo spirito riprenderà a sgorgare e darà fiducia al nostro cuore.
Nel “sono io che parlo con te” la vita si rivela.  
                                                               

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